La Campagna di Comunicazione per l’evento Cosmogonia della Vanitas nell’ambito di Avvistamenti (non) è un Festival firmata Labbestia

Labbestia – Graphic Design & Art Direction cura la Campagna di Comunicazione per l’evento Cosmogonia della Vanitas a cura di Bruno Di Marino e organizzato dal Cineclub Canudo di Bisceglie (BA) nell’ambito della sedicesima edizione di Avvistamenti (non) è un Festival, realizzata con il sostegno dell’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale della Regione Puglia, la collaborazione di Apulia Film Commission e il patrocinio del Comune di Bisceglie.

 

Il Cineclub Canudo organizza la sedicesima edizione di Avvistamenti (non) è un Festival, diretta da Antonio Musci e Daniela Di Niso e realizzata con il sostegno dell’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale della Regione Puglia, la collaborazione di Apulia Film Commission e il patrocinio del Comune di Bisceglie.

Venerdì 1 giugno 2018 alle ore 20 si terrà l’inaugurazione della mostra In Vitro: cosmogonia della vanitas, un progetto espositivo di Antonello Matarazzo, pensato per la XVI edizione di Avvistamenti e curato da Bruno Di Marino.

 

Sono molti anni che Antonello Matarazzo lavora sull’iconografia della vanitas attraverso video monocanale, installazioni e lavori fotografici. Per l’artista non si tratta tanto (e semplicemente) di ricollegarsi a una tradizione pittorica e figurativa, quanto di esplorare le possibilità di elaborare allegorie fortemente simboliche in un’epoca – dominata dai nuovi media – in cui l’invecchiamento fisico, il deterioramento corporeo e, infine, la morte, diventa l’inevitabile parallelo di un più generale discorso sull’obsolescenza del dispositivo e del supporto su cui sono trascritte le immagini.

La dimensione cinetica del film conduce Matarazzo a mostrarci le metamorfosi del corpo che avvengono sotto i nostri occhi: così in lavori come Karma o Pneuma la texture di un volto rugoso scolpito dal tempo, grazie al morphing – procedimento che da sempre contraddistingue la sua poetica (ogni tecnica rimanda a una metafisica, scriveva André Bazin) – diventa mappa delle sofferenze che si sono sedimentate con il passare degli anni, messa a confronto con la corteccia e le nodosità di un tronco d’albero. Ci troviamo di fronte a una metafora immediata e vivente della natura che, inesorabilmente, fa il suo corso trasformando incessantemente la materia.

Le immagini fotografiche che costituiscono la serie In vitro non possiedono, naturalmente, l’elemento temporale. Eppure alla profondità della durata, si sostituisce una tridimensionalità spaziale, data dai diversi strati di plexiglas di cui si compone l’opera: ai volti di giovanissimi e anziani, uomini e donne, si sovrappongono le riproduzioni di insetti che vivono su più layers, dando l’impressione di essere animati ma soprattutto di avere una loro fisicità che varca la soglia della rappresentazione e invade lo spazio del reale. Qualcuno ha giustamente accennato al motivo della musca depicta, altro rimando alla pittura, soprattutto quella fiamminga del XVI secolo. Ma, sicuramente, in queste raffigurazioni di piccole dimensioni emerge sempre il tema del memento mori, della “corruzione” che contamina la natura portandola verso la putrefazione. Anche in questo caso – come in Karma e Pneuma – a colpire maggiormente è la neutra frontalità dei volti che ci fissano; il rigore geometrico in cui sono inscritti e ingabbiati; la loro posa serena in attesa della dissoluzione. In realtà, ricordando altri video di Matarazzo – La camera chiaraVeraznunt,  che lavorano sulla fissità del fotografico in relazione alla memoria di qualcosa che è stato e che, illusoriamente, torna ad essere (il cinematografico) – questi volti appartengono già al passato, sono già defunti.

Ma proviamo piuttosto a leggere In vitro non come allegoria della morte, bensì della vita. La freddezza somatica di questi microritratti potrebbe essere, invece, controbilanciata proprio dall’intervento degli insetti, in quanto elementi vitali la cui presenza non vuole ricordarci la fragilità dell’esistenza e ammonirci sulla vanità del tutto, ma diventa piuttosto simbolo di rinascita, proprio come lo scarabeo nell’antico Egitto (il kheperer, con funzioni magico-apotropaiche). In questo senso l’artista non poteva non collegare alle opere oggettuali/fotografiche – che si fanno corpo e che costituiscono un corpus, una galleria di figure in bilico tra bi e tridimensionalità – alcune installazioni video: qui i volti di profilo appaiono come pianeti attorno ai quali gli insetti disegnano le loro traiettorie. Il diagramma delle rotazioni celesti, il reticolo che lentamente arricchisce queste immagini, liberandole dalla fissità e affidandole al movimento, possiede qualcosa di ritmico, di musicale: non a caso Matarazzo ha rielaborato questi brevi video costruendo l’installazione audiovisiva In-Secto-symphoniae, con la musica della compositrice e sound designer Rosella Clementi e la voce di Maria Pia De Vito, nota sperimentatrice vocale in ambito jazzistico. L’installazione site specificsarà presentata in anteprima nell’ambito della Biennale di Arte Contemporanea di Salerno. Questo lavoro a sei mani ruota intorno al concetto di geometria sonora prodotta mediante la ricerca di rapporti algoritmici tra i vari suoni in gioco diffusi con un dispositivo multicanale.

Nei video che compongono la mostra In vitro, così come nell’installazione In-tro-sectum, il tema della vanitas si configura come scrittura cosmogonica, animazione digitale che si espande nello spazio (in senso concreto, ovvero espositivo ma anche stellare), tracciato circolare e frammentato che si protrae idealmente all’infinito e collega il volto all’universo, il microcosmo al macrocosmo. Il segno della mortalità si rovescia, dunque, nel suo contrario, vitalità in espansione: la figura dell’insetto diventa misura di tutte le cose, elemento di intermediazione tra sacro e profano, umano e celeste, fisico e spirituale, consegnando i volti di In vitro a quell’immortalità che è propria dell’arte (Bruno Di Marino).

Cliente: Avvistamenti (non) è un Festival Bisceglie (BA)
Servizi: Graphic Design, Campagna di Comunicazione
Anno: 2018
Art Director & Graphic Design: Stefano Ciannamea & Serena Zanchi



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